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Vidimazione oscura ed effetto spettatore

 

Nella scorsa puntata abbiamo visto quanto è importante la vidimazione sociale per migliorare la propria vita e quella delle persone accanto a noi… ma ha anche un lato oscuro? La vidimazione sociale in alcuni casi può diventare un pericolo per la sopravvivenza delle persone?

Scopriamolo insieme!

 

L’argomento del giorno

 

Nel 1964 a New York ci fu un caso famoso di omicidio da cui scaturirono molti studi di psicologia.

Catherine Susan Genovese, più comunemente conosciuta come Kitty Genovese, era una donna di New York che venne accoltellata a morte nei pressi della sua casa nel quartiere di Kew Gardens, distretto del Queens.

Questo caso sconvolse enormemente l’opinione pubblica a causa delle circostanze in cui avvenne questo omicidio.

La ragazza, infatti, rincasò molto tardi, e parcheggiò la sua macchina alle 3 e 15 di notte. Nel tragitto dal parcheggio a casa, Kitty venne avvicinata da un uomo, Winston Moseley, un assassino seriale, il quale la accoltellò alla schiena per due volte.

Quando la donna gridò, i vicini e gli abitanti del circondario sentirono le grida e le richieste di aiuto, ma solo pochi intervennero, e quei pochi si limitarono solo a gridare contro l’aggressore.

L’aggressore si spaventò e si allontanò temendo che qualcuno sarebbe intervenuto, nel frattempo la donna cercò di raggiungere l’uscio di casa sua, malgrado fosse gravemente ferita.

Facendo così, si allontanò dalla vista di quei pochi che erano si erano affacciati alle finestre.

L’aggressore se ne accorse e tornò indietro per portare a termine il suo intento. L’intervallo di tempo tra l’inizio dell’aggressione e l’omicidio,  stando ai medici legali, durò circa mezz’ora.

Solo pochi minuti dopo la fine dell’aggressione un testimone chiamò la polizia.

Le forze dell’ordine e il personale medico arrivarono entro pochi minuti dalla chiamata del testimone ma questo non salvò la povera ragazza che morì in ambulanza durante il tragitto verso l’ospedale a causa della gravità delle ferite riportate.

In seguito le indagini rivelarono che le grida della ragazza avevano svegliato e fatto affacciare alla finestra ben 38 persone.

Questi testimoni videro cosa stava succedendo in strada e si videro l’un l’altro, ma nessuno di loro chiamò la polizia prima di mezz’ora.

Interrogati dalla polizia, molte di queste persone dissero di aver pensato che quello che avevano visto o udito potesse essere un litigio amoroso o schiamazzi di ubriachi o un gruppo di amici che erano usciti da un bar, ma che non avevano realizzato quello che stava accadendo realmente.

 

Sebbene l’opinione pubblica si scandalizzò (soprattutto in seguito all’uscita sul New York Times di un articolo riguardante la vicenda) e si indignò prendendo questo omicidio come un esempio di quanto i cittadini dell’epoca fossero diventati insensibili, apatici, vili ed inumani per aver permesso una tale brutalità.

Nonostante il sensazionalismo giornalistico, gli psicologi sociali si erano resi conto che la vidimazione sociale era entrata in azione, facendo ritenere ai passanti che, se nessuno interveniva, forse c’era un buon motivo, di conseguenza nessuno intervenne in un circolo vizioso che portò alla morte la povera ragazza.

Basandosi su questa conoscenza, elaborarono una diversa teoria per spiegare il comportamento dei testimoni

 

Gli psicologi sociali Bibb Latané e John Darley in seguito a studi e ad approfondimenti, elaborarono la teoria dell’“Effetto Spettatore” (Bystander Effect) pubblicando i risultati dei loro studi, nel libro “The unresponsive bystander: Why doesn’t he help?”, nel quale vennero riportati e chiariti concetti come l’ignoranza pluralistica e la diffusione di responsabilità.

 

Per spiegare questa teoria, i due psicologi idearono un esperimento volto a misurare se ed in quanto tempo le persone accorrono in aiuto di una persona che si sente male.

Nel 1968, alcuni studenti di psicologia dell’Università della Columbia si offrirono volontari per un esperimento non meglio specificato.

Venne detto loro che sarebbero stati coinvolti in una discussione sulla vita universitaria.

Ogni studente venne portato in una piccola cabina chiusa dove avrebbe potuto comunicare con gli altri solo attraverso un microfono e solo per due minuti a testa; in questi due minuti non era permesso interrompere colui che stava parlando per nessun motivo.

Il motivo per cui si poteva comunicare per soli due minuti veniva giustificato con lo scopo di salvaguardare l’anonimato dei partecipanti, ma in realtà questa modalità rendeva lo studio più vicino dell’omicidio di Kitty Genovese.

 

Durante la discussione un ragazzo (in realtà il complice dello sperimentatore) prese la parola ma improvvisamente simulò un malore seguendo le istruzioni ricevute dallo sperimentatore.

Il suo compito era quello di simulare un attacco epilettico: poco prima dell’inizio dell’esperimento il ragazzo aveva confidato agli altri soggetti di soffrire proprio di quel male.

I partecipanti sentirono quindi la sua richiesta di aiuto sempre più pressante poiché il ragazzo la estremizzava fino a dire che si sentiva morire, per poi emettere dei rantoli sinistri e poi più nulla.

Questo esperimento venne fatto con una variabile importante, ovvero la quantità dei soggetti presenti oltre al complice, per giustificare l’ipotesi di supporto alla teoria.

In una serie di tests, oltre al complice, venne fatto partecipare un unico soggetto, mentre in altre serie di prove, oltre al complice, dovevano partecipare altri cinque soggetti.

I risultati mostrarono che l’85% dei soggetti del gruppo più piccolo (solo due persone, il soggetto ed il complice) agì per chiedere aiuto o per soccorrere il complice in prima persona in meno di un minuto.

Nelle prove con un numero maggiore di soggetti solo il 31% di questi reagì in qualche modo.

Le prove vennero ripetute con lo scopo di minimizzare le possibili altre variabili come: sesso, età, moralità, personalità ecc, ma i risultati rimasero pressoché invariati.

Una persona in difficoltà quindi ha maggiori possibilità di essere aiutata se si rivolge ad un singolo individuo piuttosto che ad un gruppo.

In un gruppo infatti tutti aspettano di vedere cosa fanno gli altri, ma nessuno interviene a bloccare l’azione criminosa.

Particolarmente illuminanti, infatti, sono le interviste ai soggetti che non sono intervenuti quando il complice dello sperimentatore simulava di stare per morire. I soggetti riportavano frasi del tipo “non sapevo cosa fare… ho pensato che dovesse trattarsi di uno scherzo… non capivo cosa stesse accadendo…”.

 

Per verificare che questi comportamenti non fossero dovuti ad egoismo o all’indifferenza dei soggetti, i ricercatori idearono una seconda serie di prove.

In questo nuovo tipo di prova le persone vennero fatte sedere in una stanza col compito di compilare un questionario. Improvvisamente da una bocchetta dell’aria venne fatto uscire un fumo denso che, a poco a poco, avrebbe riempito tutta la stanza.

Questo fumo era innocuo ma loro non lo sapevano.

Create queste condizioni vennero ideate tre variabili: nella prima la persona era sola nella stanza che si sarebbe riempita di fumo, nella seconda vi erano tre individui e nella terza vi era un solo soggetto e due collaboratori dei ricercatori addestrati a mostrare indifferenza e tranquillità verso il fumo, come se non fosse un problema.

Avviando l’esperimento, si ebbero tre differenti tipi di reazione.

Nelle variabili dell’esperimento in cui era presente solo un soggetto, questi uscì dalla stanza in meno di due minuti.

Nei gruppi in cui erano presenti tre soggetti invece, questi uscirono dalla stanza in sei minuti, quando ormai il fumo aveva completamente saturato l’ambiente, perché tutti si guardavano preoccupati ma non agivano. Inoltre solo il 13% di tutti i soggetti presentava delle caratteristiche da leader e prese la decisione di agire, ma anche i leader presenti in questo gruppo uscirono più tardi dei leader presenti nella prima variabile di questo esperimento.

 

Infine nel terzo tipo di prova, quella con una sola persona e due complici tranquilli, ci furono i risultati più importanti. I soggetti infatti, vedendo i complici tranquilli, non uscirono affatto dall’aula e solo uno sparuto gruppo di partecipanti con caratteristiche da leader (meno del 10%) agì ma comunque lo fece dopo dieci minuti circa (quindi con risultati peggiori anche della seconda variabile dell’esperimento).

 

Questi esperimenti dimostrarono quindi che se la maggioranza è tranquilla le persone non agiscono in una situazione di pericolo, sia per prestare aiuto a qualcuno (come è successo a Kitty Genovese) sia per salvare sé stessi.

Anche in questo caso l’esperimento fu ripetuto cercando di azzerare le possibili altre variabili (sesso dei soggetti, l’età, la loro moralità, i tratti di personalità ecc) ed anche in questo caso i risultati rimasero pressoché invariati.

 

Perché è importante?

 

Se mai vi dovesse capitare di dover chiedere aiuto o se doveste soccorrere delle persone in difficoltà, dovrete tenere a mente l’esistenza dell’effetto spettatore ed agire di conseguenza.

Nel momento in cui si chiede aiuto, bisogna rivolgersi ad una specifica persona, guardarla negli occhi chiedendo solo a lei di essere aiutati.

In un secondo momento, se si è ottenuto aiuto e gli eventuali altri spettatori non si sono ancora scossi dal torpore dell’effetto spettatore, allora si può chiedere aiuto ad altre persone, ma fino a quel momento è opportuno responsabilizzare un singolo piuttosto che un gruppo.

Nel momento in cui si deve organizzare un aiuto (in caso di incidenti stradali, aggressioni, emergenze o altro) vale lo stesso principio, quindi è necessario rivolgersi ad ogni singola persona e dargli un compito, un ruolo da eseguire (ad esempio tu chiama la polizia – tu chiama l’ambulanza – tu dammi una mano), in modo tale da creare una rudimentale macchina del soccorso in attesa dell’arrivo di soccorritori professionisti ed evitare l’effetto spettatore.

 

 

I consigli dello psicologo

 

Dato che questa puntata sta diventando davvero troppo lunga, mi limiterò a consigliarvi di approfondire più volte questo argomento e tenere a mente l’importanza della vidimazione sociale e dell’effetto spettatore. Se questo argomento dovesse interessarvi potrei fare nuovi approfondimenti in futuro.

 

 

Saluti e anticipazioni

 

Eccoci arrivati alla fine di questa puntata.

Cosa ne pensate di questo episodio? Vi sono venute in mente alcune persone che hanno sperimentato l’effetto spettatore?

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Il prossimo episodio di “Niente-Paura” uscirà tra una settimana esatta, ma ora vorrei chiedervi una cosa… come si sviluppa la grinta?

Lo scopriremo nella prossima puntata, A PRESTO!

 

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